Nel cuore della transizione energetica, un paradosso frena ancora molte iniziative virtuose: il paesaggio.
In Italia, dove l’identità culturale si fonde spesso con l’estetica dei borghi storici e la tutela del patrimonio architettonico è giustamente rigorosa, l’installazione di impianti fotovoltaici tradizionali può risultare un’impresa complessa.
Ma cosa succede quando la tecnologia diventa invisibile? Quando l’innovazione non contrasta, ma si integra con la bellezza? È qui che entrano in gioco le tegole fotovoltaiche: una tecnologia tanto elegante quanto rivoluzionaria.
La rivoluzione silenziosa delle tegole fotovoltaiche
A prima vista, le tegole fotovoltaiche sembrano comuni coppi in laterizio. Eppure, sotto il loro aspetto tradizionale, nascondono micro-moduli fotovoltaici ad alta efficienza, capaci di generare energia pulita nel pieno rispetto dell’armonia architettonica. Il principio alla base di questa tecnologia è semplice quanto geniale: trasformare ogni singola tegola in un piccolo pannello solare, integrato perfettamente nella copertura dell’edificio.
Si tratta di una soluzione che elimina l’impatto visivo degli impianti tradizionali, offrendo un’alternativa discreta e autorizzabile anche in contesti sottoposti a vincolo paesaggistico. In altre parole, la tegola fotovoltaica rende possibile ciò che fino a ieri era considerato incompatibile: produrre energia rinnovabile là dove l’estetica e la tutela del territorio sembravano una barriera insormontabile.
Il caso Colletorto: un modello per le CER in aree vincolate
Un esempio concreto arriva dal Molise, precisamente dal Comune di Colletorto, dove un progetto innovativo ha dimostrato il potenziale trasformativo delle tegole fotovoltaiche.
La sede comunale, un edificio soggetto a vincolo paesaggistico, è stata oggetto di un intervento integrato che ha previsto l’installazione di un impianto fotovoltaico da 10 kW, l’integrazione di batterie di accumulo da 30 kWh e la sostituzione del sistema di climatizzazione.
Il cuore tecnologico di questo progetto? Le tegole fotovoltaiche in cotto, prodotte da Industrie Cotto Possagno, che riproducono l’aspetto delle tradizionali coperture in coppo ma incorporano un modulo in silicio monocristallino da 5 Wp per singolo elemento.
Grazie alla loro modularità e leggerezza (3,3 kg per pezzo), è stato possibile coprire l’intera superficie del tetto mantenendo l’estetica originale dell’edificio.

Il caso di Colletorto non è solo un progetto tecnico ben riuscito: è un manifesto.
Un esempio di come le istituzioni pubbliche possano farsi promotrici della transizione energetica con scelte che rispettano e valorizzano il contesto urbano. E rappresenta un precedente cruciale per tutte le CER che vogliono nascere in borghi storici, zone rurali o aree protette.
Le tegole fotovoltaiche, in questo senso, non sono semplicemente un’alternativa tecnica. Sono uno strumento politico, culturale e sociale. Permettono di superare una delle obiezioni più diffuse contro il fotovoltaico — il “non è bello da vedere” — e trasformano un limite in opportunità. Quando la sostenibilità è ben disegnata, diventa contagiosa.
Nel contesto delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), il caso di Colletorto rappresenta un benchmark di straordinaria rilevanza. Le CER, infatti, vivono spesso una doppia sfida: da un lato il coinvolgimento di edifici pubblici o storici come produttori di energia, dall’altro l’ottenimento delle autorizzazioni in contesti urbanisticamente sensibili.
Le tegole fotovoltaiche aggirano entrambi gli ostacoli. Non solo permettono di installare impianti anche in centro storico o in aree vincolate, ma valorizzano il ruolo degli enti pubblici come promotori della transizione energetica. Un municipio che produce la propria energia in maniera sostenibile e invisibile diventa un simbolo potente per coinvolgere la cittadinanza e attrarre soggetti privati nella costituzione di una CER.
Integrazione architettonica = accettabilità sociale
Uno degli aspetti meno discussi ma più decisivi della transizione energetica è l’accettabilità sociale degli impianti. Le comunità locali sono spesso restie ad accettare cambiamenti visivi nei propri paesaggi, soprattutto in borghi e contesti rurali. Le tegole fotovoltaiche rappresentano una risposta diretta a questa obiezione.
La loro forza sta nell’integrazione estetica: non impongono una “presenza tecnologica”, ma si mimetizzano con l’esistente. Questo favorisce non solo l’autorizzazione da parte delle soprintendenze, ma anche l’adesione popolare ai progetti energetici diffusi. E quando la tecnologia smette di essere percepita come invasiva, può finalmente essere abbracciata come opportunità.
Fino a pochi anni fa, le tegole fotovoltaiche erano considerate una soluzione di nicchia, adatta solo a progetti di alta gamma o dimostrativi. Oggi, grazie a un progresso industriale costante, sono una realtà accessibile, scalabile e competitiva.
Con un fabbisogno di 14 elementi per metro quadro, un impianto da 1 kWp può essere installato in poco più di 14 m², rendendo la soluzione ideale anche per coperture di piccole dimensioni. L’adattabilità a climi diversi, la semplicità di posa e la possibilità di integrare sistemi di accumulo rendono la tecnologia pronta per essere adottata su larga scala, in particolare nei programmi di rigenerazione urbana e di efficientamento del patrimonio pubblico.

Il futuro si costruisce (anche) sopra le nostre teste
Nel panorama della transizione energetica, le soluzioni più potenti non sono sempre le più appariscenti. A volte, la vera rivoluzione avviene in silenzio, come nel caso delle tegole fotovoltaiche. Progetti come quello del Comune di Colletorto dimostrano che è possibile coniugare innovazione, tutela del paesaggio e partecipazione collettiva.
In un Paese dove ogni edificio racconta una storia, servono tecnologie capaci di rispettarla. Le tegole fotovoltaiche non solo rispettano quella storia: la proiettano nel futuro.
Il caso di Colletorto ci dice che si può fare. Che si può costruire il nuovo dentro l’antico, senza distruggere, senza stravolgere. Che la transizione energetica può essere anche una forma di continuità, di cura, di attenzione.
Questa non è solo una buona notizia per chi progetta. È una chiamata per chi amministra, per chi vive i territori, per chi sogna una CER nel proprio comune. Non dobbiamo più scegliere tra energia e paesaggio. Possiamo avere entrambi.